L’inizio del buio. La tragedia e la nascita della televisione del dolore.

Una decina di lampadari illumina il palco. Gli stessi lampadari che il 10 giugno 1981 illuminano le cucine degli italiani, che per la prima volta, davanti ai loro televisori, si trovano uniti nel dolore e nell’angoscia.

Al Teatro Vittoria dal 4 al 9 ottobre, va in scena “L’inizio del buio” ispirato all’omonimo romanzo di Walter Veltroni. Adattamento teatrale di Sara Valerio, con la regia di Peppino Mazzotta. 

Con il loro spettacolo Sara Valerio e Giancarlo Fares, mettono in scena il triste parallelismo tra due storie: la vicenda di Alfredino Rampi e quella di Roberto Peci.

I due interpreti ci raccontano la storia di queste due vittime facendoci ripiombare nuovamente dentro quegli orrori. Sussurrano gli incubi vissuti dal piccolo Alfredino, che, incastrato nel pozzo, chiama disperatamente la mamma, con la poca aria che gli resta nei polmoni pieni di fango e detriti. Cerca di resistere il più possibile in quella prigione buia, mentre i soccorsi peggiorano drasticamente la situazione con tentativi di salvataggio sempre più vani.

Mentre Alfredino precipita nel pozzo, Roberto Peci viene rapito. Rinchiuso nel bagagliaio di una 127 viene condotto in una “prigione del popolo” dalle Brigate rosse. Una telecamera riprende i suoi ultimi giorni, la paura e il dolore vengono strumentalizzati e utilizzati come ricatto per la salvezza. Ma Roberto non tornerà mai dalla sua famiglia e viene “processato” e ucciso, per vendicarsi del fratello Patrizio, il primo pentito delle Br.

Il pubblico segue queste due storie in parallelo, sperando che l’esito, che ben conosce, questa volta possa essere diverso.

Valerio e Fares restituiscono un volto umano a queste vicende che erano giunte al pubblico mediate dallo schermo. Medium che, da una parte, avvicina ma dall’altra interpone un filtro, uno scudo, una distanza enorme con le storie trasmesse, patinandole con un’aura di finzione. Quasi fossero un racconto dove tutto è possibile e dove nessuno si fa veramente male, dove, nonostante tutto, si arriva sempre al lieto fine.

Per la prima volta la televisione porta nelle case degli italiani il dolore e la tragedia dal vivo: nasce la televisione del dolore. 

Lo spettacolo si pone come critica a quella televisione, che, come un occhio indiscreto e crudele, osserva la realtà, il dolore, la tragedia, proiettandola poi come un reality, senza pudore né rispetto. Tutto ciò appaga il gusto dell’orrido, la morbosità, la curiosità per le tragedie. Eventi tremendi che però non ci coinvolgono personalmente, non ci toccano, sembrano quasi impossibili. Ci affascinano per la loro assurdità, o che forse guardiamo per esorcizzare la paura di ciò che non vorremmo ci capitasse mai.

Alfredino e Roberto sono entrambi vittime, il primo dell’impreparazione di tanti, troppi, adulti, il secondo delle Brigate Rosse e del clima politico dell’epoca. “L’inizio del buio” mette in scena la sofferenza di questi innocenti restituendola al mondo reale e fa riflettere sull’invasione della televisione nella sfera del privato. Uno spettacolo dolorosamente veritiero che consiglio a chiunque sia pronto a riflettere sul passato di questo nostro Paese e a prendere atto su come si sia evoluto, da quella prima diretta, il nostro rapporto con la televisione.