Dall’infanzia calabrese alla collaborazione con lo studio paterno, da una cultura da autodidatta fino all’approdo a Roma, la vicenda di Tommaso Le Pera – fotografo del teatro italiano per eccellenza– si articola attraverso un felice connubio di circostanze. Da un lato l’aspetto della fotografia come radice, insita nel suo immaginario fin dalla prima infanzia, dall’altro quel multiforme ingegno necessario a farlo addentrare sempre più a fondo nella scena teatrale contemporanea. Una scena che diviene dunque spazio di ricerca essenziale nella formulazione di soluzioni stilistiche fino ad allora inimmaginate.
Parte da qui Incontro con Tommaso Le Pera. La memoria visiva del teatro di Romolo Perrotta, autopubblicazione realizzata nel 2023 grazie al contributo del grafico, Lorenzo Pellegrino e dell’editore e stampatore, Alessandro Sgueglia di “Etabeta”.
Nel raccontare la figura del fotografo italiano, il curatore elegge come trait d’union l’elemento della tenacia, unica forza in grado di innestare il cambiamento, di consentire un successo non inteso in questa sede come involucro vuoto permeato da tensioni arriviste, ma in un modo diametralmente opposto.
«Il successo – afferma infatti il fotografo – è quello che si costruisce passo passo… con tante rinunce e tantissimi sacrifici… ».
L’intervista come mezzo per l’autenticità
…E lui è lì che scatta, che fissa, che coglie, che leviga, che inquadra, che isola, che compatta, che tallona, che assorbe, che naturalizza, che screzia, che contrasta, che tende a un’epica quotidiana, che sublima lo scandalo o l’armonia in fotogrammi […]
Questa l’analisi enucleata da Rodolfo Di Giammarco in merito all’attività fotografica di Tommaso Le Pera; per comprenderne le fasi, i passaggi, l’approdo, Perrotta ricorre alla formula dell’intervista, unica in grado di dare voce al fotografo senza mediazioni, di permettere la ricostruzione di una traiettoria attraverso il racconto autentico del suo protagonista.
Documentando l’incontro con Le Pera, svoltosi nel 2013 presso il suo studio fotografico a Largo dei Colli Albani, il curatore sceglie di fare ritorno al luogo in cui tutto ebbe inizio, di percorrere dunque un percorso quanto più possibile lineare in grado però di lasciar spazio ai nodi cruciali, al racconto delle intuizioni, all’excursus aneddotico.
Ecco dunque restituito il senso di quel “partire dalle radici” per poi spostarsi sulla decisiva fase dell’adolescenza dell’artista, e procedere al vaglio di alcuni dei primari spunti tematici rivelatisi determinanti alla costruzione del suo sguardo. Tra questi senza dubbio l’apprendistato, la ricostruzione del processo artistico, gli incontri; ma anche elementi utili a dipingere un quadro dell’artista in quanto uomo, con un personale weltanschauung, un indicativo modus vivendi.
Dal paese alla città: la costruzione dello sguardo
In un tempo- la prima metà del secolo scorso – in cui la macchina fotografica appariva come strumento piuttosto raro nelle realtà paesane, la prima scuola di Tommaso Le Pera fu l’insegnamento del padre, operatore di proiezione presso il cinema “Aurora” e ancor più dello zio Luigi. Fu lui a sancire il suo iniziale contatto con le tecniche di perfezionamento dell’immagine, con il lavoro – a quel tempo minuzioso e certosino– del ritocco.
Risale a questo periodo l’approdo alle prime tecniche e- sul piano più strettamente personale- la maturazione di un approccio paziente e perseverante all’esistenza, destinato a divenire trasversale anche nel contesto artistico.
Se la fascinazione rivolta al teatro era stata alimentata in adolescenza dall’acquisto delle opere più note tramite una casa editrice milanese, la concretizzazione di una personale scelta artistica si configurò solo a partire dagli anni Sessanta. La sua origine fu un salto nel buio, quello rappresentato dal trasferimento a Roma.
E così cominciai a frequentare le famose “Cantine Romane”.
Spazio di innesto per una rivoluzione teatrale senza precedenti, quello delle Cantine Romane si configurò come fondamentale polo d’attrazione per lo stesso Le Pera che entrandovi ebbe modo di sancire l’atto di simbiosi fra due tensioni irriducibili e persistenti: la fotografia e il teatro.
Site tra via Alberico II, via Belli, il Lungotevere Mellini e via Benzoni, Le Cantine andavano affermandosi come decisivo spazio di sperimentazione dove l’allora giovane avanguardia teatrale era rappresentata da personalità come quelle di Giancarlo Sepe, Mario Ricci, Giancarlo Nanni, Giuliano Vasilicò e Memè Perlini. Per comprendere ciò che accadde nello specifico dell’esperienza professionale del fotografo calabrese, Perrotta si affida alle parole dello stesso Le Pera quando afferma: “all’estemporaneità avanguardista di quei giovani, e per lo più ancora sconosciuti artisti, fece da perfetto contraltare il mio modo di fotografare senza pose, immediato”.
Una tendenza che, portata avanti dapprima in un contesto del tutto peculiare, andò identificandosi con una autentica rivoluzione nel modo di fare fotografia e in un tratto distintivo per l’artista che, dopo essersi fatto promotore del servizio di sviluppo e stampa per corrispondenza, inventava ora la fotografia dinamica.
Ciò che resta: il più vasto archivio di fotografia teatrale dell’intero pianeta
A parlare è sempre il fotografo quando racconta dello straordinario archivio fotografico realizzato nell’arco di cinquantacinque anni. Un tempo lungo che appare ancor più pregno se si considera l’attività insaziabile di una personalità curiosa capace di rinnovare il suo interesse ad ogni spettacolo, di cogliere al suo interno le pieghe mimiche dei volti, l’espressione non riproducibile propria del mezzo scenico, il movimento che si ribella alla fotografia in posa. Ciò che resta dell’esperimento autentico di Romolo Perrotta è la resa di una personalità artistica declinata su ogni fronte possibile in grado di fornire forse al lettore una dimostrazione di quanto talvolta sia possibile indagare una storia attraverso l’intuizione delle profonde aderenze tra arte ed esistenza. La sua intuizione è stata quella di creare lo spazio vitale in cui la dialettica tra le due parti possa trovare la sua realizzazione permettendo all’una di farsi eco dell’altra.