Luchino Visconti amava far teatro perché, tra i tanti motivi, era convinto che la creazione in palcoscenico corrispondesse a quei canoni artistici di cui egli era diretto discendente culturale: «Tutta l’arte è completamente inutile», sosteneva, infatti, Oscar Wilde; e ispirandosi ai più famosi versi di Malherbe, Visconti scrive che il teatro deve rappresentare tanto la perfezione quanto la caducità «delle più belle cose che nascono e muoiono, avendo vissuto l’espace d’un matin, que vivent les roses», lo spazio di un mattino, quello che vivono le rose. Non a caso per secoli l’arte più completa dell’universo s’è fatta, soprattutto in Italia, pensando fosse ormai tradizione trascriverla nel vento o nell’acqua che fugge, per dirla con Catullo; fino a quando, un giorno di qualche anno fa, Tommaso Le Pera si accorge che la sua riscrittura storica del teatro italiano degli ultimi 50 anni non è stata né spolverata dal vento né cancellata dall’acqua, ma è lì davanti ai suoi occhi, e che l’autore di cotanta fatica è proprio lui che con la sua macchina fotografica ha conservato viva la memoria di migliaia di spettacoli.
Un evento straordinario che stravolge un millennio di dimenticanze, e forse di superficialità, che non poteva passare inosservato alla professoressa Paola Bertolone, docente di Storia del teatro all’Università di Siena, la quale ha studiato e analizzato «il miracolo teatrale» pubblicando giustamente un libro, presentato lunedì pomeriggio nel foyer del teatro Quirino di Roma. Il volume, edito nel 2021 da Artemide (135 pagg.), si intitola Tommaso Le Pera. Un archivio per il teatro e ha il pregio di descrivere dettagliatamente come s’è preso atto dell’importanza di questa immensa raccolta fotografica che contiene milioni di scatti realizzati tra le quinte di oltre 4.000 spettacoli a partire dalla metà degli anni Sessanta. Pur essendoci numerose pubblicazioni con immagini di Le Pera, mancava un testo analitico che valorizzasse la conservazione di un bene culturale immateriale: il teatro.
Tommaso Le Pera, classe 1942, calabrese di Sersale, figlio d’arte, sin da piccolo inizia a fotografare ogni cosa gli venga a tiro, e con suo padre acquisisce notevole esperienza nella ripresa fotografica e nel processo di sviluppo. La sua adolescenza ricorda un po’ quella del protagonista di Nuovo cinema Paradiso: «Il riferimento ora mi sembra un po’ abusato, anche se in verità la storia è simile: con papà facevo l’operatore di proiezione all’Aurora, il cinematografo del paese». Si appassiona quindi al cinema, alle inquadrature, poi all’improvviso sente parlar di teatro e senza neanche conoscerlo troppo bene scatta la scintilla. Nel 1965 si trasferisce a Roma e frequenta le prime platee. Fotografa tutto. «Di quegli anni conservo ancora centinaia di scatti non catalogati di spettacoli precedenti alla mia attività di fotografo riconosciuto». Il suo debutto ufficiale infatti risale al 1969: al Delle Arti fotografa Peppino De Filippo, che all’epoca di quel teatro ricopriva i ruoli di gestore, autore, regista, scenografo e attore (c’era una volta il romantico teatro!); e lo spettacolo era Come finì don Ferdinando Ruoppolo. Ma il giovane Tommaso aveva già immortalato, l’anno precedente al Sistina, Gigi Proietti e Carmelo Bene in La cena delle beffe di Sam Benelli.
A proposito di Carmelo Bene (che per oltre un ventennio è stato tra i più discussi e acclamati, ma anche tra i più «indisciplinati» e rappresentativi protagonisti della nostra ribalta nazionale, un artista che si potrebbe definire un «rivoluzionario» del palcoscenico), il professor Gianfranco Bartalotta, docente di Roma Tre, intervenuto alla presentazione, ha sottolineato come proprio questo nome, un tempo icona al pari di Eduardo e Gassman, sia oggi sconosciuto ai giovani allievi delle discipline dello spettacolo. Un dato sconcertante e drammatico che conferisce ancor più il merito a Le Pera di aver custodito un materiale prezioso per salvaguardare la memoria del teatro del secondo Novecento. Una conservazione, sì, del passato, ma che arricchisce presente e futuro. E, speriamo serva anche a far cambiar rotta al disinteresse dei nostri politici e amministratori.
«È un vero peccato – ha sottolineato l’autrice – che, in Italia, l’approfondimento del teatro non segua gli esempi di molte altre nazioni, dove è addirittura materia di studi scolastici: in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Germania, per non parlare dell’est Europa».
E da noi che succede?
«Succede che tra un governo e l’altro – spiega Antonio Calenda – ci si dimentica della cultura e soprattutto del teatro. Tra le autorità nessuno più nomina queste parole. Le hanno dimenticate. Tant’è che i teatri continuano a chiudere i battenti» per far posto a supermercati e tavole calde, se non a sale da gioco. È dell’altro giorno la triste notizia che a Milano è stata definitivamente chiusa la storica sala del Nuovo a San Babila. Sarebbe ora che lo Stato si interessi al teatro e all’archivio di Le Pera, perché questa collezione è a tutti gli effetti un bene pubblico che dovrebbe essere messo al servizio degli studiosi e non solo, sostiene Bisicchia nella premessa al volume.
«Per fortuna – sintetizza ancora Calenda – esiste Tommaso Le Pera, interprete di una interpretazione». Tuttavia occorrerebbe sfruttare, capitalizzare e valorizzare il lavoro del più fedele testimone teatrale del nostro tempo con un intervento accreditato, appunto statale.
Geppy Gleijeses, padrone di casa, si augura e propone per diffonderne l’eco «una mostra fotografica all’Ara Pacis dedicata alle immagini di Le Pera», come già accadde in passato per Fellini e Mastroianni e ora per Lucio Dalla, «perché il teatro è soprattutto educazione».
«Loro sono grandi artisti – conclude il nostro eroe – io non mi sono mai sentito un artista, ma sono sempre stato al servizio del palcoscenico. Ho camminato insieme a migliaia di attori seguendoli, passo-passo, pure in camerino, ma sempre in punta di piedi». E con l’occhio incollato all’obiettivo, naturalmente.
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Tommaso Le Pera. Un archivio per il teatro, di Paola Bertolone. Con l’autrice e con Tommaso Le Pera hanno presenziato Geppy Gleijeses, Antonio Calenda e Gianfranco Bartalotta.