La pace è soltanto un optional per gli amanti del litigio

Bella sorpresa all’Argot: La pace non è mai un’opzione è, tra quelli visti, uno degli spettacoli più interessanti e brillanti della stagione. Ottimamente interpretato, confezionato da una regia semplice e impeccabile, ma soprattutto sorretto dal sagace testo di Emanuele Aldrovandi che sembra aver seguito «indicazioni» e «suggerimenti» di tutti coloro che oggi conservano la pazienza di dividere il proprio letto con la persona che si ama. Che sia essa una compagnia a lungo termine o a più breve scadenza, fa lo stesso: il tempo non cambia le dinamiche del rapporto conflittuale che si instaura. Sicuramente, però, la «toccata e fuga» resta la miglior opportunità per non rovinare la magia di un incontro. Tuttavia quasi tutti noi siamo portati a reiterare i nostri errori, pertanto, si spera sempre che «stavolta andrà bene».

Probabilmente alla coppia in questione, che il pubblico entrando in sala trova già a letto (lui con un libro in mano e lei con un portatile illuminato), è andata bene per qualche anno, poi è cominciata la china dell’impercettibile incomunicabilità, delle piccole insofferenze, dei primi alterchi: difficoltà che ognuno incontra periodicamente. Talvolta gli ostacoli si evitano con agilità e scioltezza, altre capita di imbattersi in periodi di guerra fredda pronta scaldarsi per un nonnulla.

Anche una bella sorpresa per il compleanno, confezionata un po’ superficialmente (è vero!), potrebbe essere motivo per innescare una discussione senza fine, che sfocia in un folle e reciproco ribaltamento di eccessi sentimentali. Così lei, boxer apparentemente fredda e tenace, in posizione di guardia, è costantemente pronta alla provocazione, perché sa benissimo che lui regge i primi due affondi, ma al terzo va know-out e parte l’urlo. Quindi, quando lui è metaforicamente in ginocchio, lei esige le sue scuse; e lui, mentre lei gli conta i secondi, manda giù il boccone amaro e invoca perdono ammettendo l’errore; ma a lei non basta più, pretende altro. Cosa? Non si sa! Lei è la donna, lei è il diavolo: eppure non vuole né il corpo né l’anima. I round si susseguono. I loro istinti primitivi suggeriscono ogni volta di uccidersi, di annientarsi, di cancellarsi a vicenda, ma vince il desiderio masochistico di continuare la lite, perché l’amore è anche questo. Litigare insieme vuol dire, prima di tutto, stare insieme: una delle esigenze tipiche della nostra epoca, in cui la solitudine spaventa. Avere una persona accanto con la quale potersi azzuffare anche a notte fonda è un’ancora di salvezza, una certezza che aiuta a vivere.

Ed ecco la perfida tattica. «Mi ami?», chiede lei durante una tregua. «Sì», risponde lui. «Davvero?» «Sì, davvero», conferma. È il momento in cui lui si rilassa, e pensa che il match sia terminato e che la pace sia stata raggiunta; quindi, ingenuamente domanda: «E tu mi ami?» «No», ribatte lei pronta a ricominciare il round successivo con un gancio inaspettato. Poi all’improvviso la situazione cambia completamente per rimanere esattamente la stessa: lui parte all’attacco e lei incassa fino a crollare sul tappeto. Ha vinto lui? Ha vinto lei? Ha poca importanza.

È uno stupro mentale di coppia, un gioco disperato e continuo, ma realistico e irresistibile, capace di coinvolgere ogni singolo spettatore che finisce per riconoscersi in una quotidianità perversa e malata, ma, in questa società, assolutamente normale. Dopo anni di reciproca frequentazione, la mortificazione dell’altro è la portata più prelibata e succulenta che si possa servire. Eppure è difficile stabilire che non sia condita con una manciata d’amore.

Molti applausi per gli amanti del litigio, Sara Putignano e Marco Quaglia, bravissimi a sostenere i ritmi di recitazione dribblando agevolmente le difficoltà dei repentini eccessi di toni, degli animi concitati, e dei cambi di velocità nel palleggio delle battute: sempre concentrati nel loro scontro coniugale, dialettico e sentimentale, non perdono un colpo.

Abbiamo detto che la regia è semplice, ma solo nel risultato; i due antagonisti, infatti, restano sempre distesi (o quasi) a letto, ma Silvio Peroni è riuscito a rendere l’esiguo spazio del materasso matrimoniale scoppiettante di paradossi, colorato di ironie, sporcato di drammi e dilaniato dalla rivalità, tanto da farlo sembrare al contempo sia un ring di pugilato che un talamo nuziale dove si perpetua il gioco suadente tra vittima e carnefice, sicuri che pur cambiando l’ordine dei fattori… la nottataccia è assicurata!

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La pace non è mai un’opzione di Emanuele Aldrovandi, con Sara Putignano e Marco Quaglia. Regia di Silvio Peroni. Teatro Argot, fino al 2 aprile