“Il teatro che ci interessa è il teatro che produce relazioni, costruisce comunità. Quel teatro parte integrante della vita quotidiana, inteso come esperienza antropologica, prima che spettacolo. Riteniamo che, in una società in cui le esperienze e gli incontri sono diventati spesso virtuali e fittizi, la capacità del teatro di creare relazioni umane significative sia rimasta immutata. Proponiamo un teatro che sia disciplina, impegno personale, modificazione del sé e conoscenza degli altri: un momento di riflessione e cambiamento sia per chi, come noi, lo fa, che per chi vi assiste.
Abbiamo scelto di custodire la tradizione, ma aprirci anche ai nuovi linguaggi e alle avanguardie. Non rinunciamo a nessun lessico che lo spettacolo dal vivo suggerisce: ospitiamo la danza, la prosa, la musica, la drammaturgia contemporanea. Non esistono, secondo noi, linguaggi a cui gli spettatori non possano essere accompagnati”.
Napoli è una città poliedrica su più fronti. Non si può dire di conoscerla fino in fondo perché riserva sempre tante sorprese. È viva come una persona e le sfumature del suo carattere sono tante.
Il teatro non è da meno e gli spazi teatrali in città sono tanti quanti sono i quartieri di Napoli. Alcuni di questi spazi sono veramente piccoli e ci si sta stretti stretti condividendo respiro ed emozioni. Ecco perché Napoli soffre in particolar modo il distanziamento sociale e diversi fra questi spazi piccoli hanno dovuto chiudere a causa della pandemia.
Il TAN – Teatri Associati di Napoli è il teatro della periferia nord di Napoli.
Percorrere gli ambienti di questo luogo vuol dire accedere a un altro pianeta, dove la struttura stessa dello spazio teatrale è assai differente rispetto alle poltrone rosse dei teatri del centro cittadino, ai broccati e alla sala intesa in senso classico.
Per accedere al pianeta Tan si parte dalla zona Museo in centro storico con un servizio navetta che ti conduce direttamente a Piscinola. La zona della città confinante con la più nota Scampia.
Il teatro si presenta all’esterno come una struttura di cemento più simile ad un palazzetto dello sport che a un teatro tradizionale.
Una volta varcata la soglia dello spazio teatrale la sala è strutturata come una galleria, esattamente come i gradoni dei teatri greci che si sviluppavano dall’alto verso il centro dov’era situato il palco. È a questo punto che inizia la magia con un’offerta di spettacoli assai originali, meno commerciali e molte volte internazionali. Perché, tra le skills del Tan c’è il gemellaggio con compagnie provenienti da tutto il mondo.
Un po’ di storia: Teatri Associati di Napoli nasce nel novembre 2014 dall’incontro tra Libera Scena Ensemble e Interno5.
Due realtà completamente diverse, per storia e formazione, accomunate dalla passione per il teatro e le arti in genere, che scelgono di avviare un percorso condiviso al fine di avvicinare centro e periferia.
Ho incontrato la direttrice artistica del TAN, Hilenia De Falco, che mi ha raccontato la storia di una realtà teatrale che non contempla limiti e si apre alla condivisione. Il suo è stato un flusso di coscienza narrativo in cui non ho avuto bisogno di inserirmi con troppe domande perché la storia del Tan viaggia da sola.
Vorrei iniziare questa conversazione con te proprio partendo dalle conseguenze della pandemia sul teatro e sugli spazi come il vostro.
Curo la direzione artistica sia dell’associazione culturale Interno 5 che, insieme a Lello Serao, di Teatri Associati di Napoli e quindi del Teatro Area Nord. Come in tutte le catastrofi, la pandemia ha acuito le diseguaglianze, per cui ci siamo trovati in una situazione in cui i più fragili sono caduti oppure si sono trovati in difficoltà forti. Partendo da questa ferita, dalla sofferenza derivata dalla chiusura dello spazio Start di Interno 5, insieme a Lello Serao, Vincenzo Ambrosino, Antonello Todisco e tutti i componenti di Teatri Associati di Napoli, abbiamo pensato a un progetto che abbiamo portato avanti in questo periodo di crisi che si chiama (H)EARTH Ecosystem of Arts & Theatre, un progetto che parte dal cuore. Se infatti leggiamo l’acronimo con l’acca iniziale significa cuore, ma se lo leggiamo con l’acca iniziale e finale significa focolare, una parola che fa riferimento al nostro obiettivo, ossia ritornare in una dimensione di focolare, accanto al nostro pubblico con appunto il calore del teatro di prossimità. Se invece leggiamo l’acronimo solo con l’h finale, significa terra. Noi siamo infatti convinti che la cultura sia il cuore pulsante del nostro sistema – paese – terra.
Con il supporto dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli abbiamo immaginato un progetto, (H)EARTH, appunto, che potesse andare incontro alle fragilità. Ossia a supporto di quelle realtà più deboli come piccoli spazi; piccoli sì ma presidi culturali fondamentali che non hanno ricevuto nessun ristoro durante la pandemia. Per cui abbiamo individuato dieci piccoli spazi dell’area metropolitana e insieme a loro abbiamo individuato una giuria composta dai direttori artistici di questi dieci piccoli teatri e abbiamo emanato un bando rivolto a dodici compagnie che come requisiti non dovevano aver ricevuto finanziamenti dal FUS.
Per cui il progetto (H)EARTH è stato una modalità costruttiva di reagire alla Pandemia, stimolando le istituzioni ad investire sui più fragili.
Le compagnie selezionate hanno lavorato per 21 giorni nei teatri che hanno partecipato al bando, ad un progetto che avevano dovuto inevitabilmente interrompere a causa del lockdown. Non appena ci saranno le condizioni presenteremo gli esiti dei 12 lavori nati in questi 21 giorni nell’ambito di in una grande festa con una piccola rassegna. Il progetto è stato uno strumento importante che sancisce un principio di base: stimolare le istituzioni a investire sulle realtà più fragili e soprattutto sui piccoli spazi a cui va riconosciuta una dignità proprio rispetto alla loro esistenza. Ovviamente si parla anche di supporto economico, tant’è che l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli ha sostenuto il progetto per un importo di circa 150 mila euro. Questi fondi sono stati divisi tra i piccoli spazi (8mila euro) e le compagnie (5500).
Siamo partiti sicuramente da una situazione vissuta sulla nostra pelle. In effetti le difficoltà dei piccoli spazi sono legate all’impossibilità di fare attività secondo le attuali normative. Lì dove non si ricevono finanziamenti pubblici, lo spazio si basa sulla formazione e quindi sui laboratori e sul fitto sala per le prove oppure eventuali piccole altre attività. Senza poter fare tutto questo, a causa delle restrizioni per la pandemia, i piccoli spazi si sono comunque trovati a dover pagare il fitto mensile, oltre alle utenze per un periodo che ormai ha coperto un anno. Per questo, partendo dal nostro Interno 5 che ha vissuto queste difficoltà abbiamo pensato ad altri come noi e ci siamo detti che era il momento di fare rete.
Probabilmente la rete può aiutare tutti i piccoli spazi a non morire. È stato importante dare un segnale e immaginare una progettualità nonostante il tragico momento che tutti stiamo vivendo.
Mentre Interno 5 reagiva facendo rete, cosa accadeva al Tan?
Come Teatro Area Nord abbiamo mantenuto tutte le nostre attività di residenza, ovviamente con il fermo da marzo a maggio 2020, dopodiché a partire dall’estate abbiamo riattivato le residenze artistiche, ospitando anche gli artisti esterni come Vico Quarto Mazzini, che hanno iniziato proprio da noi il loro lavoro di residenza con il progetto Livore che poi ha debuttato ad Armunia. Abbiamo ospitato la residenza di Valentina Curatoli e Arianna D’Angiò che hanno portato avanti il progetto Cabaret Colette che debutterà all’interno del Campania Teatro Festival.
Siamo riusciti a riprogrammare alcuni appuntamenti della stagione che sono saltati lo scorso anno. Siamo andati avanti con una nostra produzione, Guarda il volto di Dio per la regia di Marcello Cotugno che ha debuttato a Primavera dei teatri a Castrovillaria ottobre e abbiamo avviato la stagione a ottobre con i Babilonia teatro, con Padre nostro. Siamo riusciti a riattivarci fortunatamente prima della seconda chiusura dei teatri.
Ci sarà il debutto di Peggy Pickit a Napoli e debutteremo con una nostra nuova produzione le cui prove sono partite comunque in questo periodo. Si tratta di un progetto su Natale in casa Cupiello cum figuris.
Si tratta di un monologo con figure animate che sono state concepite e realizzate dallo scenografo Tiziano Fario. La regia è di Lello Serao. Per il momento sarà possibile vedere un documentario legato al processo di lavoro che abbiamo portato avanti anche in collaborazione con il territorio. Abbiamo infatti avviato un laboratorio con i ragazzi del territorio sul teatro di figura. Ossia su come si muovono i personaggi inanimati in scena. Quindi i ragazzi, che faranno parte materialmente dello spettacolo in quanto animatori di figure animate, insieme a Luca Sarcoia l’attore principale abbiamo iniziato questa produzione.
Il documentario sarà visibile al pubblico nell’ambito del Campania Teatro Festival nella sezione Quartieri di vita. Lo spettacolo debutterà, normative permettendo, tra novembre e dicembre.
In questo periodo è accaduta una cosa incredibile, sono stati dati dei finanziamenti a pioggia senza richiedere una rendicontazione. C’è stato quindi una sorta di libero arbitrio nella gestione delle economie. Per cui sono emerse realmente le associazioni e gli artisti che hanno un’etica. Al di là delle imposizioni, io credo che se ho a disposizione del denaro pubblico, questo denaro debba essere reinvestito e ricadere in maniera indiretta sui lavoratori dello spettacolo.
Per quanto riguarda il sistema delle residenze di cui noi facciamo parte ci è stato chiesto di rendicontare il settanta per cento del nostro operato. A prescindere da questo il progetto (H)EARTH nasce proprio da una volontà di fare sistema, di pensare ad un sistema in cui ogni sezione del comparto abbia la propria funzione e che questa funzione sia riconosciuta. Di fatto, dunque, non ci siamo mai fermati, continuando a dedicarci all’arte e al nostro pubblico.
Confini aperti è la caratteristica del TAN, su cui si basa la poetica di Teatri Associati, tanto che la vostra stagione teatrale porta questo nome:
Come tu dici Confini aperti è rappresentativo del nostro modo di concepire l’arte e il territorio. I confini sono aperti perché spaziamo dalla prosa alla danza alla performance e quindi con noi si parla di confini aperti tra gli stili rispetto ai lavori che amiamo ospitare e programmare. Al tempo stesso riteniamo che i confini del territorio stesso debbano essere aperti. Noi concepiamo il teatro come un qualcosa che viene consumato e condiviso con tutto il territorio circostante. Il Tan è un teatro aperto, al proprio territorio e alle associazioni che ne fanno parte. Per cui durante le residenze le associazioni vengono invitate a seguire gli esiti del lavoro e a discutere quanto visto. Ad animare le attività del Tan contribuiscono le numerose iniziative delle associazioni del territorio che testimoniano la vivacità e l’apertura di un teatro sempre attento alla propria comunità: Noi e Piscinola, che collabora con il Tan per la programmazione del cineforum e dei concerti musicali, Sentieri d’arte, che gestisce attività di socializzazione attraverso corsi gratuiti di danza e di animazione, Dream Team, associazione al femminile attenta alle problematiche legate al mondo delle donne, Lega Ambiente – Associazione La Grù a cui è stato affidato il mantenimento dei giardini del Teatro Area Nord e la costituzione di un orto didattico in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli – Facoltà di Biologia per la creazione di un laboratorio di “biobellezza” diretto dalla Professoressa Barbara Majello, Associazione Circo Corsaro che dirige la scuola di circo con una sezione dedicata all’educativa territoriale di Scampia e Piscinola. La cooperativa L’Uomo e il legno che collabora attraverso progetti di sinergia con il carcere di Secondigliano, il Centro Urtado che organizza il Caffè letterario ideato dal Professore Franco Maiello, Arciscampia che propone progetti di contaminazione tra sport e spettacolo.
Ci poniamo anche il problema dell’educazione del pubblico ai linguaggi del contemporaneo. Se non c’è un istruire e un accompagnare il pubblico anche verso i linguaggi nuovi, non può esservi un progredire del pensiero critico dello spettatore. Tutto questo per noi è molto importante.
Purtroppo nella condizione attuale ciò che ci manca di più è proprio il confronto con il pubblico. Di solito questi incontri erano accompagnati da un bicchiere di vino in un momento di convivialità dove si discuteva di spettacoli visti, della direzione del teatro.
Ospitiamo anche il laboratorio di circo della Scuola di quartiere di Circo Corsaro, un teatro che vive delle scompostezze interessanti del nostro territorio.
Un’altra parte fondamentale per noi è il fatto che pur restando in uno spazio di periferia, siamo comunque in un luogo che dal punto di vista strutturale è un luogo non accogliente, in un palazzo di cemento armato, ma al contempo al suo interno c’è qualcosa che fa poesia, c’è una bellezza.
Anche per questo motivo, Confini aperti vuol dire cercare di superare limiti come questo, anche riallacciando i rapporti fra centro e periferia.
Il TAN non è il teatro di Piscinola, è il Teatro della città di Napoli e della Regione Campania, è un teatro Nazionale che accoglie realtà nazionali e internazionali.
Spesso abbiamo ospitato compagnie internazionali in residenza ed è importante che si superi questo concetto di ghetto rispetto al quartiere nel quale ci si trova a lavorare.
Per questo la nostra stagione teatrale porta il nome di Confini aperti.
Il quartiere e la periferia come hanno reagito?
Senz’altro il nostro è un pubblico molto attento. Fino al 2015 il TAN (Teatro Area Nord) è stato gestito da Libera Scena Ensamble, dopo c’è stata la fusione con Interno 5 da cui è nata Teatri Associati di Napoli.
Da questo momento in poi il teatro è stato gestito da questa nuova realtà in cui la direzione artistica è passata a me e Lello Seraoche siamo di due generazioni molto diverse. Come Interno 5 iniziammo nel 2003 che non avevamo ancora trent’anni, organizzavamo il Festival Internazionale dell’Attore, siamo stati quelli che in qualche modo hanno fatto nascere l’E45 Napoli Fringe Festival che era la sezione Off del Napoli Teatro Festival, abbiamo diretto il Festival Internazionale di Montalcino, eravamo insomma una realtà giovane molto attiva.
Lello Serao e Libera Scena Ensamble era invece molto diversa innanzitutto per una questione generazionale aveva iniziato un lavoro sul territorio molto capillare precedente. Hanno fatto quasi un lavoro porta a porta per portare le persone a teatro. Quando siamo arrivati noi ci siamo trovati un pubblico di una certa età. Gli abbonati erano nella fascia di età più alta, fra i 60 e gli 80 anni circa. Il nostro arrivo ha portato un pubblico giovane arrivando così a una commistione. Inoltre facciamo molti progetti con le scuole e gli studenti che costituiscono un’altra importante fetta di pubblico.
Con il Liceo Panzini per esempio abbiamo aperto un progetto in cui i ragazzi recensivano gli spettacoli che vedevano.
Il pubblico quindi è un pubblico misto legato anche al contemporaneo, alla sperimentazione e alla nuova drammaturgia (caratteristica di Interno 5). Questa sperimentazione si è mescolata con lo zoccolo duro costruito negli anni sul territorio da Lello Serao.
Questa è senz’altro la nostra forza. C’è stato poi un episodio che ci ha portato ad allargare il nostro lavoro al Teatro Politeama, un’appendice della nostra stagione teatrale. Tutto è nato da un episodio casuale: avevamo programmato all’interno della nostra stagione il Macbettu di Alessandro Serra proprio l’anno in cui vinse l’Ubu. Ci furono così tante richieste che ci trovammo a richiedere ospitalità al Politeama. Da lì si è avviata una vera e propria collaborazione anche per gli spettacoli a seguire.
Abbiamo così aperto una piccola rassegna di tre spettacoli che si svolgono ogni anno al Politeama. Ciò ha reso più forte il concetto di Confini aperti e rapporto tra centro e periferia.
Il Politeama ha un pubblico del centro napoletano, dopo i primi appuntamenti quel pubblico si è spostato nella sede del Tan per seguire la stagione. C’è stata quindi una fusione dei due pubblici in uno che si spostava in maniera disinvolta grazie anche al servizio navetta.
Qual è secondo te il futuro del teatro, se esiste, e in che modo il teatro può andare avanti?
Io credo che dovremmo, per poter pensare ad un nuovo teatro, metterci nell’ottica di scrivere una nuova drammaturgia delle relazioni umane perché di fatto siamo cambiati come individui. Oggi, nel momento in cui penso a un progetto artistico non sono la stessa Hilenia che pensava un progetto artistico prima del lockdown, perché siamo cambiati. Anche le condizioni in cui lavoriamo, questa invasione e contaminazione tra la vita privata e il lavoro cambia completamente il modo di immaginare un futuro.
Quello che immagino è un futuro in cui si superino ancora di più le barriere. Entrare veramente nelle case delle persone. Ora lo facciamo attraverso uno schermo, ma quello che bisognerà fare sarà cercare di accarezzarsi senza toccarsi. C’è ancora una paura del contatto e quindi ci si dovrà avvicinare al nostro pubblico partendo dalla nostra posizione.
Tutti siamo stati colpiti dalla stessa catastrofe e in questo siamo uguali, noi e il nostro pubblico. Dovremo quindi provare a superare insieme questo momento di disagio e di dolore riappropriandoci, ognuno secondo i propri tempi, di quelli che sono stati per noi degli spazi sacri, spazi di benessere dove ci siamo sentiti a nostro agio e che al momento ci mancano. Dovremo darci una possibilità di tornare a vivere, essere aperti, consapevoli del grande disagio che abbiamo vissuto. Non possiamo ritornare a fare teatro come lo facevamo prima. Non dico certo che verranno fuori spettacoli legati al Lockdown ma saranno spettacoli diversi. In qualche modo il pensiero dell’artista è cambiato, e sarà interessante vedere cosa hanno partorito gli artisti da tutto questo, che corde il lockdown ha toccato.
In quest’ottica sarà necessario ripensare lo spazio?
Sicuramente, infatti noi la scorsa estate e anche la prossima abbiamo organizzato una rassegna estiva nel nostro parcheggio. Abbiamo messo un palco e l’abbiamo chiamata Arena TAN. Cerchiamo quindi di fare di un disagio, un punto di bellezza, per cui il parcheggio diventa in questo caso uno spazio d’arte.
L’empatia fra artista e pubblico è per questo fondamentale per costruire il futuro del teatro. Nel corso della rassegna estiva erano tutti in fibrillazione emozionale perché era il primo momento che si ritornava sul palco dopo il lockdown e poi c’era il pubblico, non il solito pubblico ma anche persone che non avevano mai messo piede in teatro, probabilmente perché venire all’esterno creava meno soggezione. Probabilmente ci saranno anche delle strategie da mettere in atto per il futuro del teatro per fare tesoro delle difficoltà che abbiamo dovuto superare in questo momento. Sicuramente il teatro di domani sarà un teatro più consapevole, perché questo momento è servito a molti artisti per acquisire consapevolezza del proprio ruolo e della propria funzione.
Si sono svelate tante cose grazie alla pandemia, una di queste è il lavoro a nero dell’artista che ovviamente non arrivando ad almeno sette giornate lavorative dichiarate non ha usufruito dei ristori.
Da qui siamo diventati tutti più consapevoli di quali siano i doveri e i diritti dell’artista.
Saluto Hilenia dandoci appuntamento, non appena possibile, alle prossime attività del TAN con la speranza di tornare a quei momenti di convivialità creativa intorno all’arte.