“Firefly lane: L’estate in cui imparammo a volare”

La nuova serie targata Netflix e dedicata alle donne, che rievoca vecchi cliché. 

Tra le ultime serie uscite su Netflix c’è “Firefly lane”, con protagoniste Katherine Heigl, che ricordiamo aver raggiunto la celebrità con “Grey’s Anatomy” e Sarah Chalke, l’indimenticabile Elliot di “Scrubs”. In primis, è certamente discutibile la traduzione italiana del titolo della serie che, da “Firefly Lane”, ovvero la strada in cui le due protagoniste, vicine di casa, si incontrano e diventano amiche inseparabili e, per di così, imparano a sorvolare e affrontare le avversità della vita, si trasforma in “L’estate in cui imparammo a volare”.

Le protagoniste femminili, Tully e Kate, sono interpretate da due indiscusse celebrità del mondo delle serie tv, due attrici che vale sempre la pena di guardare e, infatti, sono proprio loro a trainare la storia, nonostante qualche piccolo incidente di percorso nella scrittura. Da una parte Tully Hart intraprendente donna in carriera, giornalista ambiziosa e single; dall’altra Kate Mularkey madre, divorziata e insicura. La serie ripercorre, attraverso l’impiego di flashback e flashforward, le vicende che hanno contrassegnato il loro incontro e la crescita di queste due ingenue ragazze di provincia, fino alla vita adulta, sempre insieme. Ma già a partire dalle prime puntate si scopre un’escalation, un po’ trash e un po’ magnetica, di cliché e luoghi comuni sul mondo femminile.

Ritorna, immancabilmente, la retorica di un legame basato sull’apparenza, a partire innanzitutto dalla chioma: pare che per molti sceneggiatori, in modo particolare statunitensi, un’amicizia femminile possa essere possibile solo a costo che una sia bionda e l’altra mora. Ma c’è di più: a ripetersi sono anche i cliché sulle dinamiche di potere nel mondo del lavoro, la dolorosa dicotomia tra donna in carriera e madre affettuosa. Che, in qualche maniera, ciò corrisponda a realtà è assolutamente evidente, ma c’è anche da dire che sarebbe necessario cominciare a interrompere questa infinita sequela di prodotti artistici volti a vivisezionare l’esistenza femminile, che risulta così sempre e solo divisa tra dimensione individuale, di affermazione delle proprie capacità in ambito lavorativo e quella familiare, inerente alla sfera affettiva.

Le donne non hanno bisogno di modelli come questi, non serve certo che qualcuno ci ripeta, persino nel nostro immaginario, quanto la vita possa essere ingiusta e sessista. Un discorso di questo genere è vitale in opere di tipo documentaristico e di denuncia, ma nel mondo della finzione, di una finzione utile alla costruzione di un immaginario sano, positivo e produttivo, si dovrebbe evitare di incentrare la narrazione su determinati temi. Qualcuno/a potrebbe sorprendersi nel leggere che Kristin Hannah, ovvero l’autrice del romanzo da cui è tratta la serie, è laureata in comunicazione; altre/i si domanderanno se, piuttosto, non ci sia un piano dietro la costruzione di certi modelli femminili. Nessun piano, a mio avviso, solo la profonda convinzione che per diventare donne di successo si debba passare per una trincea di errori, di gravi traumi, in ultima istanza, di insostenibili rinunce. Al contrario, essere madre porterebbe con sé le grandi gioie della vita familiare e della maternità, l’amore puro, ma anche un’irreversibile solitudine e una mancata realizzazione personale.

Non c’è da scherzare su certi temi, la situazione, in particolare nel nostro paese, è drammatica, la profonda cesura tra meriti ed effettive possibilità lavorative è profondissima. E, nondimeno, è necessario porre grande attenzione alla costruzione dei modelli, evitando di ridurre il potere femminile a gelida spietatezza e l’amore a servilismo. Se le storie di donne che sono riuscite a ottenere tutto o, anzi, tutto ciò che meritavano non abbondano e, per questo, diventa anche difficile parlarne, allora non rimane che inventarle, affinché siano d’ispirazione per le nuove generazioni.

Volti importanti, attrici di fama mondiale, storie semplici e, se necessario, crude e dirette, niente pietismo: questo è ciò di cui abbiamo bisogno, perché noi non siamo così, non siamo nemiche le une delle altre, non viviamo di eterne e frivole competizioni in quanto donne, ma possiamo batterci strenuamente per ciò che desideriamo e siamo capaci di amare fino a consumarci, senza farne costantemente una questione di genere.