“Cafards – Il buio dopo l’alba”. Intervista al regista Nick Russo

Uno scenario apocalittico e cinque personaggi che lottano per la sopravvivenza, dell’anima e del corpo: il mondo in rovina, l’estinzione dell’umanità è alle porte.Questo è lo scenario che si apre nella narrazione dello spettacolo Cafards – Il buio dopo l’alba, dal 19 al 22 gennaio al Teatro Trastevere di Roma. Un dramma psicologico, dai toni post-apocalittici, scritto e diretto da Nick Russo, in scena gli attori Giacomo BottoniGledis CinqueBeatrice GattaiAndrea Pellizzoni e Filippo Tirabassi. Sono i cinque personaggi che si muovono in affanno, irrequieti, ansiosi, in preda a tumulti dello spirito e dell’anima nel ristretto perimetro di una villetta al mare. Uno scenario potremmo dire claustrofobico “che scava” – come ci racconta il regista durante l’intervista – “nella profondità dell’animo umano in situazioni al limite”, estreme. Sopravvivere alle difficoltà della vita, questa è la vera sfida ma anche quella di proteggere i propri cari. 

Aldous Huxley, nei suoi romanzi distopici ed a proposito della mente umana, scriveva: «L’esperienza non è quello che accade ad un uomo, è ciò che un uomo fa con quello che gli accade». Niente di più vero di ciò che può accadere alla mente umana, alle sue reazioni ed azioni, ai propri istinti. 

Una notte interminabile. Una storia surreale e distopica che spinge al limite le nostre emozioni e percezioni, le nostre decisioni, specchio di una realtà odierna liquida e frenetica:

La narrazione, ed il tratteggio emozionale, indagano ed approfondiscono le azioni, gli istinti, le emozioni e le pulsioni istintive degli attori che si muovono nella casa, costretti a stare insieme. Personalità diverse, dunque, obbligate e indotte forzatamente a convivere nello stesso ambiente per una lunghissima nottata. 

Abbiamo raggiunto ed intervistato Nick Russo, regista ed autore dello spettacolo teatrale.

Parliamo di “Cafards – Il buio dopo l’alba”: come nasce l’idea narrativa e creativa?  

Sono sempre stato affascinato dalle storie post-apocalittiche, specialmente quelle che vanno scavare l’animo umano in una situazione limite come “la fine del mondo”: penso alla pièce teatrale “After the end” di Dennis Kelly, al film “Les affamés” di Robin Aubert o a certe stagioni della serie tv “The walking dead”. La mia storia nasce da un’immagine: una barca in mezzo al mare. Chi vedrà lo spettacolo, capirà.

Quella di restare umani e di proteggere i propri cari è la sfida più difficile oggi?

Sopravvivere alle difficoltà della vita, senza scendere a compromessi con i propri valori, è una sfida che in molti ci troviamo ad affrontare. Anche proteggere i propri cari non è scontato, perché ci si potrebbe trovare davanti a scelte per cui il benessere di un familiare o un amico, ha il prezzo di ferire qualcun altro. In quel caso, cosa faremmo? Cosa siamo disposti a fare?

Cosa rappresenta per te, la narrazione? Abbiamo avuto due anni di emergenza sanitaria, fino a poco tempo fa abbiamo sopportato il confinamento tra le mura domestiche: lo spettacolo richiama anche “quanto è successo?

Lo spettacolo nasce nel 2017, prima della fine della fine della realtà pre-covid, quando è stato messo in scena, il pubblico e noi stessi abbiamo realizzato quanto alcune battute fossero attuali, frasi che effettivamente è capitato a tutti di pensare o dire negli ultimi 3 anni. Una storia, per quanto surreale o distopica, spesso è lo specchio della realtà che viviamo.

Come sopravvivono corpo ed anima, nell’era dei social, del web e della società liquida, frenetica, usa e getta?

I social networks ci mostrano una realtà filtrata, in cui molto spesso il corpo è il centro e unico fuoco dell’attenzione dell’utente. Prima facevamo zapping in tv, cambiando un canale dopo l’altro, senza approfondirne nessuno. Adesso si chiama scrolling, con la differenza che lo facciamo con le vite delle persone, una “storia” dopo l’altra. In tutto questo, dov’è la verità? Qual è l’anima delle persone che seguiamo? Ma soprattutto, perché non ci interessa realmente?