Un’occasione da prendere al volo per rinfrescare gli studi classici la offre il Teatro Arcobaleno che quest’anno festeggia i 30 anni come Centro Stabile del Classico. Ma soprattutto l’occasione è imperdibile –fino al 27 novembre- per vedere all’opera quel grandissimo attore che è Massimo Venturiello nella rielaborazione della tragedia di Eschilo, Agamennone.
La riduzione adottata è quella del poeta greco Ghiannis Ritsos, al quale si deve l’intensa cifra lirica che imperversa in ogni passaggio l’allestimento (incluse le suggestive partiture cantate).
La vicenda di fondo rispetta la trama narrativa conosciuta: Agamennone, principe di Micene, rientra in patria dopo i lunghi dieci anni di assenza per la spedizione contro Troia. E’un re vincitore, il Coro (tutti bravissimi i giovani dell’Officina Pasolini che compongono la Compagnia: Carmine Cacciola, Davide Montalbano, Francesco Nuzzi, Giacomo Rasetti) aspetta il suo rientro e lo annuncia alla città e alla moglie Clitennestra, che nel frattempo ha intessuto una relazione con Egisto e lo attende dissimulando i propositi vendicativi covati per dieci anni per il sacrificio della figlia Ifigenia, immolata in nome dei superiori interessi della spedizione. In suo onore farà srotolare fino alla reggia il tappeto rosso delle grandi occasioni e preparerà il bagno del ristoro, ma impugnando la spada per assassinare il suo odiato sposo.
La riduzione propone un punto di vista che –a memoria personale- non risalta nella tessitura originaria della tragedia e che certamente costituisce il caposaldo di questo aggiornamento: Agamennone rientra da vincitore, ma la sua è una postura dolente. E’ consapevole che il tempo è andato avanti, mentre lui sperperava forza e giovinezza in una contesa inutile e dai motivi abietti e futili, come non di rado accade per le guerre. Da vincitore reca con sé, come bottino di guerra, la sacerdotessa Cassandra che è diventata sua scomoda schiava e concubina (ne veste i panni e le sinuose movenze la bravissima Carolina Sisto), ma non c’è mai il tono dell’esaltazione nel suo rientro.
La sua è una nostalgia irreparabile che riluce ancora di più al cospetto della moglie Clitennestra (impeccabile nella composta freddezza dell’aspirante congiurata la giovane Carlotta Procino che la interpreta) e che ammonisce sulla natura estemporanea della fibra d’amore e sul corso del tempo che avvizzisce inesorabilmente ciò che rimane giovane e performante solo nella memoria.
Le musiche di Germano Mazzocchetti e le luci di Giuseppe Filipponio -suggestive e sempre coerenti con la narrazione- a supporto di un progetto scenico –che si deve ad Alessandro Chiti– che propone un’impalcatura centrale che allude alle mura della città, percorse –come un’acropoli- dal dolente agìto delle intonazioni di Agamennone e dall’esoterico incedere di Cassandra, inesorabile nel tessere l’ordito dei suoi funesti presagi sul suo stesso destino e sull’imminente vendetta di Oreste.
I costumi di Silvia Polidori seguono l’intuizione vincente della regia di Massimo Venturiello: una scelta di contemporaneità –quando più o meno asserita- esattamente come accade nelle infiltrazioni di modernità negli idiomi utilizzati che non ripudiano comunque la classicità della struttura.