“Cinghiali”, commedia ironica e amara sul rapporto tra “umani”e animali.

Intervista al regista, Pietro De Silva

Tutto pronto da martedì 16 a domenica 28 gennaio al Teatro de’ Servi, per il nuovo spettacolo Cinghiali, scritto da Veronica Liberale e diretto da Pietro De Silva, attore di lungo corso artistico tra cinema, teatro e televisione; attore, regista, interprete, insegnante di cinema. Si tratta di una divertente, ironica ma allo stesso tema amara riflessione sullo stravolgimento della natura attuato dall’uomo e sul rapporto che noi esseri “umani” allacciamo con gli animali stessi e con gli animali selvatici, in particolare. Il tema è attualissimo, molto sentito. Cinghiali offre un linguaggio e un ragionamento nuovi, riflettendo sui danni che noi uomini abbiamo compiuto sulla natura; testo e spettacolo lanciano uno sguardo critico sullo stravolgimento della natura causato proprio da noi. Sappiamo coesistere con gli animali e rispettarli? Quali sono le nostre responsabilità? Dice il regista stesso “Se non si rispetta la natura, si arriverà ad un punto di ineluttabile non ritorno”.

Lo spettacolo vanta un cast eccezionale con nomi pregiati quali Duccio Camerini, Antonia Di Francesco, Veronica Liberale e Giuseppe Zep Ragone: in scena, la cronaca di oggi, un tema scottante. Lo spettacolo affronta una delle tematiche più intricate e complesse per la nostra Capitale.

A Roma e non solo, il problema dei cinghiali è molto sentito, si va avanti di ordinanza in ordinanza. Le associazioni animaliste ed i rifugi, si sono rivolti spesso al sindaco Gualtieri e alle Istituzioni italiane in merito alla preoccupante situazione riguardante la cattiva gestione dei cinghiali. Il tema non è sentito soltanto nella Capitale ma anche in Italia; dalla cronaca, le vicende dei vari rifugi e santuari, luoghi di cura e ricovero degli animali selvatici (ricordiamo il santuario animale Cuori Liberi, in provincia di Pavia, che aveva portato alla luce diversi aspetti, innanzitutto la fragilità dello status dei santuari, anche normativa).

Lo spettacolo ha linguaggi e metafore preziose. La metafora, la paura del “diverso“. Il filo rosso e la narrazione dello spettacolo Cinghiali si concentra sul linguaggio, sul contatto e sul rapporto tra l’essere umano e la natura, sulla controversa e complicata presenza dei cinghiali nella vita quotidiana di cittadini e cittadine. Davanti ad un problema così difficile ed attuale, l’istinto umano è spesso quello di trovare facili soluzioni pensando di ucciderli. L’uomo combina guai e poi la soluzione più facile sarebbe quella di eliminarli. Come spesso ribadiscono gli animalisti, il ricorso alla cattura e all’uccisione dei cinghiali non solo è disumano ma si dimostra inefficace nel lungo termine, ci sono soluzioni alternative e non cruente.

Lo spettacolo pone riflessioni e dubbi lanciando una domanda provocatoria: “se lasciassimo parlare i cinghiali stessi? Se fosse la natura per una volta a poter parlare e ad a esprimersi?” Un bel tema, non c’è che dire. Un tema sociale e politico, perchè tutto è politica anche se siamo a teatro, nella commedia.

La trama si svolge in un luogo di frontiera chiamato Macchia Desolata, dove Nerina e Calidone cercano di sopravvivere. Il loro istinto è la sopravvivenza ed il procacciarsi il cibo. La loro vita prende una svolta importante con l’arrivo di Amaranta che arriva dalla Maremma con i suoi numerosi figli. Minacciati dall’arrivo di “umani” armati, i protagonisti si dirigono verso un rifugio dove incontrano Red, che li convince a seguirlo in città, promettendo loro un futuro migliore “a portata di zampa”. I tre si illudono quindi di poter iniziare una nuova, nuovissima era in cui animali selvaggi e “umani” potranno convivere pacificamente. Sarà davvero così? Potrebbe mai essere così?

Abbiamo raggiunto ed intervistato il regista dello spettacolo, Pietro De Silva:

Come nasce lo spettacolo, la commedia?

La commedia nasce dai fatti di cronaca, e quindi dal proliferare delle specie di ungulati – come vengono definiti i cinghiali – che da molto tempo a questa parte (già dai tempi della pandemia, complice una Roma deserta e vuota) si erano spinti vicino alle abitazioni sia in periferia che in centro. Ovviamente qualsiasi specie animale selvatica, tende a tenersi alla lontana dagli insediamenti urbani e umani. Questa pacifica invasione – gli episodi di aggressione sono stati sporadici e dovuti esclusivamente a persone che si erano avvicinate troppo alle cucciolate – succede con qualunque specie animale. Ovviamente negli anni, ogni Amministrazione Capitolina addebitava alla precedente i danni del territorio o i danni ai civili, chi esasperando chi sminuendo, a secondo delle posizioni politiche. Nello spettacolo, il cinghiale viene visto come specie antropomorfa; sono degli umani, in tutto e per tutto, in abbigliamento casual, che parlano dei loro problemi quotidiani di vita e di sopravvivenza. E’ molto divertente sentire dei cinghiali che parlano correntemente come noi umani ma non conoscono ovviamente alcuni termini; non a caso, alcuni oggetti degli umani (televisori, auto, ecc. ) li chiamano “sassi” perchè non sanno come definirli. C’è solo un cinghiale un pò più urbanizzato che si è spinto nella città, che li istruisce su come si muovono gli “umani”. Gli umani nella commedia vengono definiti “dumani” (una parodia sulla parlata romanesca).

Un rapporto difficile quello tra noi “umani” e cinghiali?

Riguardo al rapporto con la popolazione dei cinghiali, molto vasta, è un rapporto di paura e diffidenza, di forzata convivenza e tolleranza (le specie non aggrediscono, neanche se affamati). C’è un parallelismo anche tra esseri umani, per esempio con le minoranze, con le popolazioni dei migranti che arrivano nel nostro Paese tramite gli sbarchi. La destra più estrema agisce sulla paura, non considerando che la nostra società è diventata multietnica nel tempo ed occorre convivere pacificamente tra tutti. C’è nello spettacolo la metafora della paura del “diverso”, un filo conduttore che unisce i temi. Vorrei aggiungere che siamo molto indietro sui temi di tolleranza e pacifica convivenza con altre specie animali. Noi umani veniamo considerati “evoluti” ma non siamo pacifici neanche tra persone, viste le tante guerre sanguinose che stanno martoriando interi territori e popolazioni.

Abbiamo responsabilità e quali, nei confronti degli animali?

Sicuramente il non-rispetto, la mancanza di rispetto è palpabile, reale. Oggettivamente, temo che non ci sia possibilità di ritorno, siamo davanti a una involuzione che è andata sempre più degradando. Anche la cementificazione del territorio ha la sua responsabilità, va a ghettizzare qualsiasi specie non protetta, è sempre più ostile il rapporto tra esseri umani e animali. Dato che gli esseri umani nei confronti degli animali indifesi purtroppo, hanno la preponderanza e la facoltà di poterli limitare o farli estinguere è chiaro che siamo in una china dalla quale – a mio avviso – è difficilissimo tornare indietro. Si può e si dovrebbe educare al rispetto ma anche i bambini di oggi ereditano i timori dei genitori, allevati a loro volta da generazioni che hanno impartito educazioni sbagliate sul rapporto tra uomo e animale.

Ci sono responsabilità politiche, secondo lei, su quanto sta accadendo con gli animali, in particolare selvatici?

Le responsabilità sono politiche, ovviamente ogni amministrazione addebita alla gestione precedente i danni del territorio e quindi ognuno ha un alibi per la propria cattiva amministrazione. Dal punto di vista teorico, sono tutti bravi a dare soluzioni ma dal punto di vista pratico invece è un’impresa titanica. Questo non è un tema e problema solo attuale ma arriva da lontano, è ultradecennale e che ora è sotto gli occhi di tutti perchè mai risolto ed affrontato seriamente. Una problematica peggiorata nei decenni. C’è sicuramente una responsabilità politica nell’indolenza della politica, a mio avviso. Chiaramente ci sono amministrazioni più indolenti di altre ed altre ancora che magari di fatto hanno delle volontà che si scontrano però con interessi sul territorio che non possono essere scalfiti.

Si va di ordinanza in ordinanza, il problema degli animali selvatici resta:

Nonostante le ordinanze, non si fa nulla di concreto. Questo è dovuto al fatto che c’è una sorta di indolenza quando non c’è l’emergenza. Si lavora in emergenza e mai in lungimiranza. In emergenza sembrano tutti pronti, lo ricordiamo anche a proposito degli orsi in Trentino. Poi, per mancanza di memoria o per l’impossibilità di contrapporre qualcosa di concreto, si lascia decadere il problema, Parafrasando Beckett direi “Aspettando Godot”: si attende un avvenimento che sembra essere imminente ma che in realtà non accade mai, si lasciano le cose come stanno per convenzione e tutto resta cristallizzato per una sorta di “quieto vivere”. 

Lo spettacolo è anche occasione di riflessione e dibattito per il pubblico?

Sarebbe interessante, il pubblico è attento ma è pur sempre uno spettacolo, questa è una commedia, amara, ironica ma una commedia. Si ride molto. E’ una favola didattica, senza pretendere di insegnare nulla a nessuno ma con leggerezza lo spettacolo lascia qualcosa nell’animo di chi è attento, è un momento di riflessione. Il tema viene affrontato ma con leggerezza, c’è anche molta poesia e comicità. Questo è un discorso molto ampio, al di là dei cinghiali, che copre qualsiasi argomento di pacifica convivenza con la diversità; l’accettazione del “diverso” – considerato tale – è complicato e lo spettacolo è un parallelo del più ampio discorso del convivere serenamente con l’altro. La pandemia con il distacco sociale ha poi acuito questo problema e si è arrivati ad un punto di paranoia assoluta: i veri cinghiali, i veri “selvatici” sono gli umani ed è questo è il discorso dello spettacolo, il tema centrale: il non volersi capire. La pandemia ha acuito tutto questo.

Qual è il linguaggio usato nel testo, nello spettacolo e nella sua visione da regista?

L’autrice è Veronica Liberale, quello che mi ha molto colpito è stato il linguaggio (faccio una premessa, ho amato moltissimo il film con la regia di Stanley Kubrick “Arancia meccanica”, del 1971, tratto dal libro “A Clockwork Orange” romanzo fantapolitico di Anthony Burgess del 1962. Kubrick ne ha tratto successivamente il celebre film del ’71 sul libero arbitrio, sul costringere una persona a snaturarsi, negandogli la libertà e forzandolo in determinati binari per reprimere la sua natura violenta. Il teppista violento viene infatti sottoposto ad una dolorosa riabilitazione, brutale tanto quanto suoi reati. E’ un’opera colossale, meravigliosa). La particolarità di quel libro era appunto il linguaggio, fatto di neologismi ossia termini che non si usano correntemente; l’autore immaginava una società distopica, in uno stato sociale futuristico. Non voglio fare un parallelo così alto ma quando ho letto il copione, la cosa straordinaria che mi ha colpito è stato questo linguaggio particolare: cinghiali che parlano correntemente come noi ma con alcuni termini diversi per descrivere determinate cose semplici (quello che non conoscono, lo chiamano “sassi”). I cinghiali sono devastati dallo stupore di ciò che li circonda, le uniche cose che conoscono sono ghiande, alberi, cortecce, e quando arrivano nelle città e nei sobborghi – si aggirano tra i territori, spesso tra case abusive – quello che trovano dentro per loro è stupefacente. Per loro è incredibile perfino il cielo stellato, perchè avendo il muso rivolto verso il basso ovviamente non possono e non potrebbero come noi sdraiarsi e guardare il cielo; c’è un momento molto bello quando gli animali restano stupiti proprio dalla volta celeste. Loro non hanno consapevolezza, come tutte le specie animali, di chi sono e di dove siano, l’istinto primario è la sopravvivenza. Si è cercato nel testo e con la regia di entrare nella “testa” e nei “pensieri degli animali”. Ci sono alcuni etologi per esempio che affermano che gli animali – almeno alcuni – sognino addirittura.

Ringraziando Pietro De Silva, attore dalla lunga carriera, insegnante di cinema, regista dello spettacolo vorremmo chiudere con una riflessione. Cosa sappiamo degli animali? I cani, per esempio, sognano? Come ci ricorda il regista stesso, durante l’intervista, gli animali offrono tanto. «I topi ripercorrono il labirinto, i gatti immaginano momenti di caccia»: i dati sui sogni negli animali non sono mai stati così numerosi. Sicuramente il sogno degli animali potrebbe avere interessantissime implicazioni. Lo spettacolo Chinghiali – siamo certi – lascerà qualcosa di profondo nell’animo dello spettatore.